venerdì 6 marzo 2015

L’IDENTITÀ RUSSOFONA NELLA CRISI DELL’UCRAINA

L’etimologia del toponimo Ucraina ( u okraina, ‘vicino al limite’ ) è quasi sinonimo della storia tormentata e complessa di questa terra di frontiera, da sempre confine tra Est ed Ovest, che in questi mesi  è al centro di un nuovo conflitto per il controllo del confine mobile tra lo spazio russo e quello europeo.

L’analisi degli interessi economici, geopolitici e strategici dei principali protagonisti  in gioco (Stati Uniti, Russia ed Unione Europea) che sembrano tornati alla politica di potenza del XX secolo, serve a  disegnare un quadro della crisi ucraina e dei suoi possibili sviluppi, ma secondo me sarebbe incompleta se non si desse la giusta importanza alla questione della lingua e dell’identità russofona che in questa terra senza unità effettiva (una sorta di intermezzo, come dice Wilson nel suo libro “The Ucranians, an unexpected nation”) è l’invisibile ma netto confine interno intorno al quale Putin  ha organizzato la sua strategia dopo il colpo di stato a Kiev e la fuga del presidente filorusso Viktor Yanukovich.
In Ucraina la lingua ha implicazioni  geopolitiche, sociali  ed economiche dietro le quali si intravvedono i legami con l’eredità sovietica e tutte le questioni legate all’identità nazionale, comprese le simpatie filoeuropeiste alimentate dall’occidente dopo il 1991, anno in cui il paese ha ottenuto un’indipendenza stabile e duratura dopo secoli di subordinazione ad altri stati.

Le radici della crisi ucraina sono nel legame tra la definizione di un’identità nazionale e la determinazione di una lingua ufficiale di uno Stato. L’ucraino è la lingua di Stato, anche se il paese è in realtà bilingue, poichè il 30% della popolazione (cioè la minoranza più consistente tra quelle riconosciute dalla Costituzione) parla il russo come propria madrelingua. La divisione è antica e conferisce al problema etnico-linguistico almeno tre aspetti: geografico, culturale e storico.

L’aspetto geografico riguarda le due regioni in cui il fiume Dnepr divide il territorio: l'ucraino prevale nelle aree rurali occidentali a minore densità di  popolazione, il russo in quelle industrializzate centrali, meridionali e orientali, nelle città e soprattutto in Crimea. 
Grazie all’eredità sovietica, la popolazione ucrainofona conosce bene il russo, ma non sempre avviene il contrario; un’indagine effettuata nel 2004 dall’Istituto di Sociologia di Kiev ha rilevato che il russo è parlato a casa dal 43–46% della popolazione e domina la comunicazione informale nella capitale Kiev; ciò significa che esso è prevalente rispetto alla lingua nazionale ucraina, ma è quest’ultima ad essere tutelata come ‘fattore di originalità della nazione’.

Anche le questioni politiche seguono schemi territoriali, oltre a quelli economici, linguistici ed ideologici: infatti ad est prevalgono i partiti filorussi come quello dell’ex presidente  Yanukovich, ad ovest quelli filo-occidentali  come il Blocco Julija Tymošenko.
L’aspetto culturale è legato all' idea di identità nazionale ucraina, e contrappone due concezioni: una valorizza la lingua e la cultura ucraina in contrapposizione a quella portata dall’invasore russo, l’altra privilegia il carattere slavo unificante della storia e della cultura di entrambi i popoli. Con l’ovvia conseguenza di considerare nel primo caso come indesiderato il vicino russo e desiderabile l’Europa, nel secondo caso l’esatto contrario.

Lo storico Victor Horodyanenko  dice che ‘la comunità socio-culturale russa è caratterizzata da un’informale integrità ed appare come soggetto indipendente del comportamento sociale. Le caratteristiche di base sono l’etnia, la residenza, l’integrità della madrelingua fra i russi, legami stretti tra i russi in Ucraina con il loro gruppo etnico, le autentiche tradizioni nazionali e la cultura spirituale russa, e l’adesione ad un'unica fede (Ortodossa)’.

La religione è in effetti un’altro elemento molto importante per l’identità dell’Ucraina, dove dal 1596 era presente la chiesa greco-cattolica di rito bizantino, cancellata dall’annessione all’URSS; Stalin confiscò tutte le sue proprietà e impose la religione ortodossa, e la chiesa cattolica fu costretta alla  clandestinità fino alla  Perestrojka,  ma da allora un’altro motivo di conflitto tra ucraini cattolici e russi ortodossi è la questione della restituzione del suo patrimonio.

E’ evidente che, come dice Huntington nel libro  ‘Clash of civilizations’, ‘la linea di faglia tra civiltà occidentale e civiltà ortodossa attraversa il cuore del paese, e così è stato per secoli’. è che ‘l’Ucraina è un paese diviso, patria di due distinte culture: quella occidentale e cattolica di lingua ucraina e quella orientale e ortodossa di lingua russa’.

A ciò si aggiunge che, dopo il crollo dell'URSS, in alcuni stati dell’ex blocco sovietico come l’Ucraina è cresciuto un tipo di nazionalismo rivolto all’interno, per cui si fanno propri i problemi delle minoranze, mentre la Federazione Russa ha un nazionalismo rivolto anche all’esterno, e pretende di tutelare la nazionalità etnica russa anche al di fuori dei confini politici.

Per quanto riguarda l’aspetto storico, l’Ucraina è il luogo d’origine della lingua russa: basti pensare che il primo Stato russo fu il Rus’ di Kiev, sorto nell’842 d.C., la cui lingua era l’antico slavo orientale. Dopo la sottomissione all’impero mongolo nel 1420 e la spartizione dei suoi territori fra il Granducato di Lituania e Moscovia, in ciascuno dei due stati si formò una lingua: il ruteno ad occidente ed il russo medioevale ad oriente.

Il principato di Mosca cominciò la sua espansione nel 1301, mentre la "russificazione" dell’Ucraina è cominciata nell'anno 1654 ed è stata molto forte, raggiungendo  la sua massima espansione con la dinastia dei Romanov. Le regioni orientali hanno avuto secoli di appartenenza all’impero russo, mentre le regioni occidentali, dove oggi è più forte il nazionalismo ucraino, erano incluse in altri stati (Impero Austro-Ungarico, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania) e sono entrate a far parte dell’URSS  dopo la seconda guerra mondiale.

Nel XX secolo la lingua russa, considerata mezzo di propaganda ideologica dello stato sovietico, era insegnata a scuola come lingua ufficiale della nazione, ma mentre Lenin riconosceva le varie nazionalità all’interno dei confini sovietici, Stalin non fu altrettanto tollerante, ed arrivò a deportare interi gruppi etnici. Non meraviglia quindi che quando nel 1991 divenne indipendente, pur rispettando le varie etnicità, l’Ucraina abbia stabilito in Costituzione che  il russo e le altre lingue minoritarie ‘possono’ svilupparsi liberamente, mentre l'ucraino, che nell’Impero Russo e nell’Unione Sovietica era considerato una lingua di livello inferiore, essendo la  lingua ufficiale  ‘deve’ essere promosso e  tutelato dallo Stato.
La contrapposizione tra ucrainofoni e russofoni si è riproposta in molte occasioni, come la lite sul decreto ispirato da Yanukovich e discusso nel 2012 per consentire l’utilizzo del russo accanto all’ucraino nelle questioni ufficiali se almeno il 10% della popolazione è russofona (è il caso di Kiev, Sebastopoli, la Crimea e altre dieci regioni).

Il rapporto tra lingua e identità  è talmente evidente da rendere azzardata l’ idea che la condivisone di una lingua comune possa unire etnia e popolazione e realizzare l’unità di uno Stato nazionale; infatti anche in Ucraina gli opposti sentimenti filorussi ed europeisti si innestano sul substrato linguistico, tanto che  Putin ha potuto usare a proprio vantaggio l’identità russofona ( ‘se parli russo, sei russo’) come qualcosa di molto più forte dell’invio di truppe sul territorio, e per giunta  senza rischiare sanzioni economiche da parte dell’occidente.

Se quella di Mosca non è ingerenza nelle questioni di uno Stato confinante, nè una mira espansionistica,  ma un doveroso atto di difesa  per ‘la situazione straordinaria in Ucraina e la minaccia alla vita dei cittadini russi  ed alla flotta del Mar Nero ancorata a Sebastopoli’, allora Putin, accusato di avere aggredito l’Ucraina, può a sua volta  accusare  l’occidente di aver sostenuto un colpo di Stato in chiave anti-russa (con la conseguente caduta del governo di Yanukovich e la Rivolta di Kiev); ne sarebbe prova il  fatto che il primo provvedimento emanato dal governo provvisorio è stato l’abolizione della lingua russa come lingua regionale per le minoranze, con la conseguente discriminazione dei cittadini russofoni, ai quali l’occidente non  riconoscerebbe lo stesso diritto all’autodeterminazione riconosciuto all’ex Jugoslavia.

Il 18 marzo 2014, Putin ha potuto affermare che la Crimea è russa perchè così si sente da sempre la sua popolazione, che parla tre lingue nazionali (ucraino, tataro e russo) e fu annessa all’Ucraina nel 1954 da Krusciov, senza considerazioni etniche e violando la costituzione sovietica in vigore, solo perchè allora l’Ucraina faceva parte del blocco sovietico ed una sua separazione era impensabile.

Guardando all’atteggiamento di Putin nella questione ucraina, si deve quindi tener presente il profondo legame tra russi e ucraini, uniti da legami di parentela,  storia e cultura tanto che perfino dopo il 1991 hanno continuato a muoversi liberamente tra i confini dei due paesi, e ad avere legami di cooperazione economica e scientifica perfino in campo aerospaziale.

Mosca considera un’ingerenza l’intervento dell’Europa nelle questioni interne ucraine e tuona contro le recenti azioni del governo di Kiev contro i ‘terroristi’ filorussi nell'Est del paese definendo l’intervento  un’atto criminale che viola la Convenzione di Ginevra, perchè i militari governativi ucraini  hanno colpito volontariamente i civili con elicotteri, blindati e armi pesanti, e perfino i proibiti proiettili a frammentazione. Quindi Putin non arretra dalla sua posizione perchè’ ‘una Russia debole, influenzabile dalla situazione in prossimità dei suoi confini, che si ritira sotto la pressione dell’Occidente’ non è nemmeno lontanamente ipotizzabile. Se poi un domani l’Ucraina dovesse aderire alla NATO, seguirebbe l’esempio della Polonia, e diventerebbe un alleato importante per gli Stati Uniti, ma quel che è peggio ospiterebbe basi militari americane proprio al confine con la Russia, perdendo così la sua funzione di Stato cuscinetto che dalla fine della guerra fredda ha conservato gli equilibri tra Mosca e lo spazio euroatlantico.

 Il sentimento di appartenenza è così forte anche da parte degli ucraini filorussi, che Mosca non  è percepita come una minaccia  ma come la salvezza dai ribelli delle regioni Sud-orientali che desiderano l’adesione alla Russia come è accaduto alla Crimea.
Queste rivendicazioni dei russofoni hanno aggiunto un tassello identitario alla situazione geopolitica, costringendo l’occidente a non sottovalutare, come nel caso dell’ex Jugoslavia, la forza disgregante delle etnie e delle identità ignorate all’interno dei confini di una nazione.
Quale sarà l’evoluzione del conflitto?

Per il momento il paese è dilaniato da una guerra civile che interessa soprattutto la parte orientale del Donbass, dove i separatisti russofoni sono contrari a una futura adesione di Kiev all’Unione Europea, all’ingresso nella NATO ma sopratutto non sono d’accordo a spezzare i rapporti storico-culturali e  identitari con la Russia e a vivere in uno Stato filoamericano, perchè l’attuale governo di Kiev non è nato da  legittime elezioni ma ha preso il potere dopo gli eventi di Euromaidan, con il sostegno da parte di politici europei e nordamericani.

A differenza di quanto fatto con la Crimea, però, il Cremlino ha deciso di non intervenire direttamente, auspicando la risoluzione della crisi attraverso il dialogo, perchè, dopo aver salvaguardato i suoi interessi strategici ed economici in Crimea, il suo obiettivo è la federalizzazione dell’Ucraina. Ma i separatisti, che hanno issato la bandiera dell’ex URSS accanto alle bandiere della regione e al tricolore russo, insistono nel tentativo di unirsi a Mosca non solo perchè sentono ancora di far parte della Russia nonostante vivano in un’altra nazione, ma anche perchè temono che l’entrata dell’Ucraina nell’Unione Europea li costringerebbe ad affrontare una crisi economica senza precedenti, la chiusura delle fabbriche e la privatizzazione di molte aziende (il Donbass è famoso per la sua industrializzazione risalente ai tempi dell’Unione Sovietica e per le tante miniere di carbone).
La  crisi ucraina è stata al centro del viaggio in Europa di Obama, determinato ad isolare politicamente la Russia. Gli Stati Uniti stanno cercando di espandere il loro predominio in Europa, e lo fanno anche sostenendo  un allontanamento dell’Ucraina dalla sfera d’influenza della Russia grazie al suo passaggio nell’Unione Europea.

La strada della diplomazia è d’obbligo in una situazione come quella dell’Ucraina, potenzialmente molto pericolosa e sintomatica del peggioramento  dei rapporti tra Mosca e Washington.

Secondo molti repubblicani e conservatori americani, Obama ha gestito debolmente l’affaire Snowden, la crisi della Siria e l’attrito per l’allargamento della Nato all’Europa orientale. Un’ulteriore successo della diplomazia di Putin andrebbe contro gli interessi statunitensi sulle risorse petrolifere e di gas naturale nell’Asia centrale, senza contare le conseguenze sulla questione del nucleare iraniano (ingestibile senza l’appoggio di Putin), l’importantissimo problema del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan (per il quale servono le vie di comunicazione russe), e il volume  di affari con Mosca, enormemente cresciuto negli ultimi anni.

Per quanto riguarda la Russia, dopo il Summit di Vilnius è stato chiaro che cercherà di ostacolare l’espansione europea ed americana con tutti i mezzi a sua  disposizione, a cominciare dalla dipendenza dal gas russo dei paesi del Partenariato orientale, di cui è membro la stessa Ucraina. L’Europa potrebbe ridurre la sua dipendenza dal gas russo accettando di acquistare lo shale gas offerto da Obama, ma non si sa quanto tempo ci vorrebbe per disporre delle infrastrutture necessarie al trasferimento oltreoceano.



L’Europa sembra assente dallo scenario geopolitico, inadeguata a gestire  la situazione dell’Ucraina, che attraverso l’adesione all’Unione Europea perseguiva lo scopo economico e politico di riequilibrare il suo deficit commerciale accumuato dal 1991 e trattare su un piano di parità con la Russia, suo principale fornitore di energia e suo primo partner commerciale.
Il protrarsi del conflitto civile potrebbe quindi portare al collasso dell’industria ucraina, indebolendo il complesso militare-industriale russo senza apparenti vantaggi per gli oppositori di Mosca, e costringerebbe l’Ucraina a contrarre prestiti onerosi con l’Europa, la quale sembra meno interessata alla sua alta tecnologia che alle sue fertili terre, e corre piuttosto il rischio di doversi impegnare comunque in un lungo sforzo per far uscire l’Ucraina dal suo attuale baratro economico.

In tutti questi discorsi la sovranità nazionale ucraina sembra contare poco, tanto che si ventila l’ipotesi di dividere in futuro il paese in una zona orientale e costiera annessa alla Russia, e in una zona centrale e occidentale filoeuropea ed americana che entrerà a far parte dell’Unione Europea. Se questo dovesse avvenire, Mosca recupererebbe parte dei territori perduti con la dissoluzione dell’URSS, estenderebbe la sua area di influenza politica  e riacquisterebbe potere sullo scenario mondiale, europeo e locale, perchè da un punto di vista energetico l’Ucraina dipende dalla Russia.

Tra le minacce di Putin di puntare i missili russi su Kiev nel caso l’Ucraina entri a far parte della Nato, e la risposta della Nato di voler rafforzare la difese nell’Europa dell’Est, il vero rischio per l’Europa è che questa crisi si allarghi anche ad altri paesi dove sono presenti grandi comunità russofone, come ad esempio la Transnistria nella Moldavia. Non a caso Putin gioca la carta dell’irredentismo russo basato sulla lingua per ristabilire l’egemonia della Russia su quella parte dell’Europa centro-orientale che  Mosca continua a considerare sua.