L’Europa
non sta di certo passando un buon momento tra crisi economica, flussi migratori
sempre più crescenti e i recenti attacchi terroristici che hanno colpito
Francia, Regno Unito e Germania. Aggiungiamoci anche le sempre più crescenti
ondate populiste che mirano all’uscita dall’Unione Europea e dall’Euro,
processo possibile ma non facile, anche se in Olanda e Francia hanno subìto una
battuta d’arresto. Ora, però, gli stati europei devono fare i conti anche con
la questione di autonomie o indipendenze rivendicate da alcune popolazioni. Un
problema che affonda le sue radici da molti secoli e ci mostra un’Europa che
sembra apparire più divisa che unita. I recenti referendum per l’indipendenza
di Scozia e Catalogna sembrerebbero inaugurare una nuova “primavera dei
popoli”, già avvenuta dopo il crollo del Muro di Berlino e la disgregazione di
paesi come URSS, Jugoslavia e Cecoslovacchia, anche se stavolta tale fenomeno
riguarderebbe buona parte dell’Europa Occidentale. Storicamente l’Europa è
sempre stata divisa tra popoli e nazioni, tranne per i quasi mille anni del
dominio dell’Impero Romano, ciò ha
permesso la nascita di identità, lingue ed etnie diverse tra loro. Sul numero
di Limes, la rivista Geopolitica
Italiana, di Ottobre del 2014 è apparsa una carta geografica che mostrerebbe il
possibile mosaico di nuove nazioni se questa “primavera dei popoli” dovesse
prendere il sopravvento, movimenti indipendentisti riacquistano forza dopo
averla perduta in questi ultimi 30 anni. Nell’Unione Europea solo la Grecia, la
Bulgaria, il Lussemburgo e la Slovenia conserverebbero gli attuali confini
politici, in aggiunta ai microstati non membri UE come Andorra o San Marino,
mentre altrove gli stati ne uscirebbero profondamente cambiati o compromessi.
Analizziamo bene la situazione.
Il
Regno Unito ha scongiurato la
secessione della Scozia, dove il NO
ha vinto con oltre il 55% battendo di poco gli indipendentisti. Sembra, però,
che la Brexit avrebbe fatto pentire
gli Scozzesi di tale decisione e fomentato i separatisti dell’Irlanda del Nord e il Galles. Anche la Cornovaglia potrebbe rivendicare tale decisione, in quanto una
parte della sua popolazione la vede come una nazione a tutti gli effetti e non
parte dell’Inghilterra, tanto che è stata lanciata una petizione che ha
raccolto più di 50000 firme per creare
un'assemblea per la Cornovaglia e renderla più autonoma alla pari della Scozia,
anche se non è da escludere una possibile spinta all’indipendenza per potersi
così allontanare da Londra e tornare da Bruxelles.
Capitolo
Spagna. Il paese iberico rischia di
uscirne profondamente modificato e compromesso, più di tutti. Già hanno
problemi con i Paesi Baschi, che da
sempre vogliono staccarsi da Madrid e diventare una realtà indipendente, ora
tocca risolvere il problema della Catalogna.
Il recente referendum ha visto i separatisti prevalere con oltre il 92% dei
consensi per l’indipendenza di Barcellona. Il giorno del voto, però, è stato
segnato per un “braccio di ferro” col governo centrale che ha mobilitato le
forze di polizia per impedire un voto considerato illegale, sono stati
addirittura registrati episodi di violenza da parte della polizia spagnola verso
gli elettori. Un triste episodio nella storia d’Europa occidentale degli ultimi
50 anni, se consideriamo che altrove i referendum sono stati fatti senza
l’intervento delle forze dell’ordine, come ad esempio in Scozia. Il tutto si è
risolto con l’esilio volontario di Carlos
Puidgemont a Bruxelles e il commissariamento del governo locale da parte di
Madrid. Le ragioni della rivolta catalana risalgono al 2010, quando la Corte
costituzionale spagnola cancellò le conquiste sancite dal documento del 2006
durante il governo di Zapatero, le quali prevedevano maggiore autonomia per la
Catalogna. È da ricordare che contribuisce ad un quinto dell'economia del
Paese, nel 2015 il Pil catalano ammontava a 204 miliardi di euro, il 19% del
Pil spagnolo. La regione ha proprie tradizioni e lingua locale, e la spinta
indipendentista viene considerata una delle cause della Guerra civile spagnola degli
Anni '30. Ma anche Andalusia, Galizia e Aragona potrebbero seguire l’esempio di Barcellona per provare a
staccarsi dalla Spagna, in quanto la Galizia stessa si riconosce parte del Portogallo.
Anche l’Italia non
è immune da questi problemi. Oltre alla fantomatica Padania rivendicata in passato da Bossi e la Lega Nord,
l’Italia deve fare i conti con la Sardegna,
il Veneto e il Sudtirol. Il 22 ottobre 2017 si è tenuto il referendum consultivo del 2017 in Veneto, i
cui obiettivi mirano a una maggiore autonomia della regione italiana. A
differenza dell’episodio spagnolo con la Catalogna, il governo italiano non ha
dispiegato le forze di polizia e ha lasciato che il referendum si facesse,
nonostante l’opinione di alcuni esponenti politici ed
opinionisti che considerano
il referendum inutile, dal momento che da un punto di vista meramente formale l'Art. 116 della Costituzione non
richiede espressamente l'indizione di una consultazione del corpo elettorale
per poter avanzare al Parlamento la proposta di maggiore autonomia regionale. I
promotori del referendum hanno evidenziato che “La Regione promuove la
partecipazione ai processi di determinazione delle proprie scelte legislative e
amministrative da parte dei cittadini" e per loro era più importante
l'affluenza dell'esito dello scrutinio.
L'indipendentismo Sardo,
anche noto col nome di Sardismo, (in Sardo: Sardismu),
ha storicamente caratterizzato l'isola con periodiche ondate di protesta contro
Roma e il potere centrale, fungendo la narrazione sardista da contraltare
al fascismo e nazionalismo italiano. Dopo il recente
referendum catalano, Mauro Pili,
deputato di Unidos, ha annunciato di
aver depositato una proposta di legge costituzionale per l'indipendenza della Sardegna. Egli afferma che "Questa
terra è trattata come la peggior colonia di Stato, il Popolo Sardo subisce
discriminazioni infinite, dai trasporti all'energia, è vittima di un fisco
diseguale che colpisce in modo letale l'economia e il lavoro. Una terra
violentata a colpi di missili e bombe, da discariche tossiche a industrie
inquinanti. I tratti identitari del Popolo Sardo sono delineati in modo chiaro
e definito dalla storia e dall'etnia, dalla cultura e dalla lingua. Ora,
dinanzi ad uno Stato che niente ha fatto per riequilibrare divari e discriminazioni,
non resta che sottoporre ai sardi la resa dei conti con il quesito restare o
meno sotto questo regime italiano". "Servono passi ufficiali, occorre
passare dalla solidarietà generica ad azioni e percorsi ben delineati a tutela
del Popolo Sardo - continua Pili - Il passaggio democratico della proposta di
legge costituzionale per il Referendum per l'autodeterminazione del Popolo
Sardo è indispensabile sia sul piano legislativo che giudiziario".
Difficilmente, però, la proposta di Pili sarà ascoltata dal Parlamento. Anche
il Sudtirol, noto a tutti col nome Alto Adige, vuole staccarsi dall’Italia
ma a differenza di Catalogna, Scozia e Sardegna non vuole essere uno stato
indipendente ma tornare a essere parte dell’Austria. La regione è stata
assegnata all’Italia come compenso territoriale alla fine della Prima Guerra
Mondiale, strappandola allo sconfitto Impero Austro-Ungarico, che da lì a poco
avrebbe smesso di esistere. La popolazione di questa regione è di etnia tedesca
e non si è mai sentita parte dello stato italiano. Il Forum dei 100 ha proposto
l'indizione di un referendum per staccarsi dall'Italia, con quesiti che
prevedono l’annessione
ad altri Stati, primo fra tutti l'Austria, o in
alternativa la nascita di un nuovo Stato sovrano e indipendente, anche se
questa seconda opzione non è molto considerata dagli Altoatesini.
La "Convenzione sull'Autonomia", istituita dal Consiglio provinciale
di Bolzano nel 2015, ha redatto un dossier nel quale propone un'estensione
maggiore dei poteri alla Provincia autonoma di Bolzano, tale da chiedere
un referendum per
decidere se staccarsi o meno dallo Stato italiano. Sono state
proposte l'abolizione della denominazione Alto Adige con la sostituzione di
"Provincia autonoma di Bolzano/Sudtirol" e il trasferimento di ogni
funzione dalla Regione alla Provincia. E si candiderebbe alla partecipazione
diretta agli organi dell'Unione europea. Inoltre il documento della
Convenzione, costituita su proposta del partito indipendentista SVP (Sudtiroler
Volkspartei) in accordo col Pd, prevede l'istituzione di una "Corte Costituzionale
altoatesina", ossia una consulta composta da giudici
locali chiamata a dirimere le controversie riguardanti la Costituzione
italiana. In seguito alla totale autonomia tributaria, Bolzano avrebbe la
possibilità di gestire le proprie entrate fiscali senza ingerenze dello Stato.
Il vento per l’autonomia e l’indipendentismo soffia anche in Francia. Se le correnti indipendentiste
prendono il sopravvento perderebbe l’Occitania
e la Corsica a sud, Bretagna e Normandia a Nord e ad Ovest territori come l’Alsazia e la Savoia. L’Occitania
viene considerata come la nazione- che-non-c’è, una grande area geografica non
delimitata da confini politici che comprende una larga parte della Francia
meridionale, parte del Piemonte e piccole aree della Spagna. Nel caso
dell’Occitania, però, si parlerebbe di autonomia, in quanto non è mai esistita
come stato nazionale e il popolo non l’ha mai richiesto. In Corsica è stato attivo dal 1976 il Fronte di liberazione nazionale della
Corsica che ha dato non pochi problemi allo stato francese con alcuni
episodi di violenza ai danni di banche, edifici pubblici civili e militari,
strutture turistiche e tutto quanto fosse legato alla Francia. Ha ufficialmente
cessato la propria attività nel 1983, ma de facto è rimasto in attività fino al
19 dicembre 2014, annunciando la cessazione della lotta armata. Le recenti
elezioni tenutesi a dicembre 2017 hanno visto la coalizione autonomista e
indipendentista “Pe’ a Corsica” vincere
il secondo turno delle elezioni territoriali in Corsica con il 56,5 per cento
dei voti. A chiusura dei seggi Gilles
Simeoni, leader della coalizione assieme a Jean-Guy Talamoni, ha detto che “è un risultato straordinario.
Parigi avrà oggi una misura di ciò che sta accadendo in Corsica”. Il tutto
potrebbe rievocare lo spettro dell’indipendentismo dell’isola, per oltre due
secoli accarezzato dalla sua popolazione dopo l’annessione alla Francia. Ma la
coalizione non chiede l’indipendenza della Corsica ma una maggiore autonomia,
nonostante gli avversari abbiano molto insistito su questo argomento, durante
la campagna elettorale, facendo spesso riferimento alla situazione della
Catalogna. In Bretagna il referendum scozzese è stato salutato dai Bretoni come
un “Ritorno della parola donata ai popoli”, anche se le speranze di un
referendum in Francia da parte della Bretagna sono praticamente nulle. Troadec, leader dei Berretti rossi bretoni, movimento
regionalista fondato nel 2013, afferma che: “difficilmente vedremo un
referendum così in Francia, paese ipercentralizzato che non riconosce i diritti
alle sue minoranze”.
Anche la Germania, solida e tetragona, ne
uscirebbe divisa. Nella Germania del sud, il sogno di una Baviera autonoma resta ancora in piedi
e il
referendum in Scozia ha dato nuove speranze ai bavaresi indipendentisti del Beyernpartei,
un piccolo partito fondato nel 1946, che si batte per lo sganciamento della
regione del sud da Berlino. Florian
Weber, presidente del partito indipendentista bavarese, spiega che: “Il mio
sogno è diventare ministro degli Esteri della Baviera; questo significherebbe
che il mio obiettivo politico è stato raggiunto”, e grazie al referendum in
Scozia vede il suo sogno realizzabile. “Fino a poco tempo fa il separatismo
bavarese non era preso sul serio, da quando è iniziato il dibattito in Scozia,
proprio in vista del referendum, il tema è diventato legittimo, se ne discute”.
Nonostante la maggioranza dei bavaresi resta contraria all’indipendenza, un
sondaggio recente vedrebbe il 29% a favore dell’indipendenza, un dato in
crescita se si pensa che un anno prima si attestava al 23%. Weber conclude: “In
dieci anni potrei immaginare una Baviera autonoma in Europa”.
Si aggiungono anche le Fiandre per il Belgio, Carinzia in Austria, Istria nella Croazia, la
Moravia in Repubblica Ceca, la Slesia
in Polonia, la Vojvodina in Serbia, la Frisia tra Germania e Olanda, il Donbas in Ucraina e le minoranze ungheresi che vogliono staccarsi
rispettivamente dalla Romania e
dalla Slovacchia. Ultima, ma non
ultima, la Transnistria, una piccola
Repubblica autoproclamatasi indipendente dalla Moldavia il 2 settembre 1990, tra l’altro l’unica e forse
l’ultima “nazione” che batte ancora la bandiera con la falce e il martello,
retaggio dell’Unione Sovietica.