La
mia tesi di laurea ha l’obiettivo di dimostrare che il Vallo di Adriano è stato
un confine geolinguistico, una barriera per il Latino, l’Inglese, il Celtico e
il Gaelico Scozzese, oltre ad essere un confine politico e militare. Grazie ai
suggerimenti del personale della scuola di lingue IH Newcastle ho potuto
reperire un sacco di materiale ed informazioni presso la Lit&Phil Library,
la biblioteca comunale della città. Sono servite anche delle escursioni
personali a Wallsend e a South Shield, nei pressi dei forti romani di Segedunum
e Arbeia. Iscrivendomi all’Arbeia Society sono arrivati mensilmente dei
fascicoli con informazioni storiche ed archeologiche che mi sono tornate molto
utili per poter realizzare la mia tesi. Inoltre ho potuto approfondire le mie
conoscenze di tutto il Vallo di Adriano grazie a un mio viaggio in Scozia a
fine del 2013, cominciato proprio con la visita della maggior parte dei forti
che elencherò.
Nel
corso dei secoli si sono succeduti molti popoli, dai Celti fino a gli Inglesi,
e la parte settentrionale dell’Inghilterra è sempre stata una zona di frontiera
che in seguito è diventata un punto di contatto tra due mondi. A causa
dell’assenza di barriere naturali come una catena montuosa o di un fiume, Il Vallo
di Adriano stesso si può considerare come limes geolinguistico, un limite
geografico artificiale, dal momento che separava due lingue e due culture,
oltre a dividere militarmente due mondi totalmente diversi tra loro, i cui
effetti si vedono ancora oggi: il Vallo stesso viene spesso identificato come
il confine tra Scozia e Inghilterra e a nord della muraglia romana comincia il
graduale passaggio alla lingua Scots, un ramo della lingua Inglese.
Il
mio lavoro si concentra sulla dominazione
dell’Impero Romano, preceduta da un breve excursus sulle civiltà
britanniche pre-romane, partendo dalla conquista di Cesare e dell’Imperatore
Claudio, sulla lingua latina e celtica, l’eredità del mondo romano e celtico
nella toponomastica in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
Infine discuterò del Latino e dell’influenza che ha avuto, assieme al francese
e al celtico, sul lessico della lingua inglese e dei prestiti di parole da
altre lingue e, infine, parlerò della lingua Geordie, il dialetto di Newcastle
e cercherò di dimostrare che il Vallo di Adriano stesso sia stato non solo un
confine politico e luogo di incontri e scontri tra le civiltà che vi sono
state, ma anche come confine tra due lingue, basandomi sulle testimonianze
storiche e sulla toponomastica di origine latina presente lungo il Vallo di
Adriano. Comincerò con una breve esposizione della storia della Britannia, per
poi parlare delle delle culture e delle lingue dei Celti e dei Romani. In
seguito analizeremo la toponomastica lungo tutto il Vallo di Adriano,
intrapendendo un vero e proprio viaggio geografico da Est ad Ovest in questa
fantastica terra, partendo da South Shields
fino ad arrivare a Bowness-on-Solway. Analizzeremo la struttura della
lingua Inglese, focalizzando l’attenzione sui vocaboli e delle influenze da
altre lingue, dimostrando che tra tutte le lingue germaniche è quella molto più
vicina alle lingue neolatine grazie al
Latino e al Francese; seguirà una breve descrizione del Latino
Britannico e del Geordie, due ottimi esempi di una lingua neolatina estinta e
di una lingua ancor oggi parlata. Vedremo come gli Atlanti linguistici e le
fonti storico-geografiche hanno reso possibile l’identificazione dei forti
posti lungo tutto il Vallo di Adriano e il ruolo che i GIS possono avere per la
toponomastica; infine ne trarrò le conclusioni.
Per
oltre 2000 anni si sono succeduti in Inghilterra molti popoli. Già abitata fin dai tempi della preistoria, dal VIII
secolo a.C. i Celti cominciarono ad invadere l’Isola,
sovrapponendosi definitivamente alle popolazioni autoctone a partire dal VI
secolo. La loro cultura è una delle più evolute dell’Età Antica,
purtroppo non veniva tramandata con i documenti scritti ma oralmente, di fatto
le uniche testimonianze sui Celti le abbiamo grazie agli scritti greci e latini
e grazie alle scoperte archeologiche e da fonti storiche come quella di
Erodoto, abbiamo molte informazioni sui Celti e possiamo avere un quadro
abbastanza chiaro su queste popolazioni. Come i Greci e gli Etruschi, i
Britanni (nome delle popolazioni celtiche presenti sull’isola) non erano uniti
ma divisi in varie tribù sparse per tutta la Britannia e sarà solo grazie al
contatto con i Romani e, soprattutto, con i Belgi che la loro cultura e la loro
società comincerà a cambiare. Dopo le spedizioni di Cesare, avvenute tra il 55
e il 54 a.C., ne sono seguite altre con l’obiettivo di assicurare a Roma
l’isola, tutte fallite. Sarà con l’imperatore Claudio che comincerà la vera e
propria conquista della Britannia, cominciata nel 43 d.C per poi concludersi
nel 51 d.C., una campagna militare durata solo otto anni. Dopo la rivolta di
Boudicca del 60 d.C., i Romani stabilirono definitivamente il loro potere
sull’isola, anche se non riuscirono mai a sottomettere del tutto i Britanni:
lingua e cultura celtica continuarono ad esistere anche con la presenza degli
invasori. Le varie incursioni delle tribù britanne rimaste libere e dei Pitti
motivarono l’imperatore Adriano a far erigere una muraglia per poter fermare le
scorribande e i saccheggi di coloro che venivano identificati come barbari, nel
122 comiciò la costruzione del Vallo di Adriano, durata tre anni, e consolidò
il potere e l’immagine di Roma in quelle terre. A seguito della crisi
dell’Impero Romano, dovuta anche alle invasioni barbariche e al Sacco di Roma
da parte dei Visigoti di Alarico, nel 410 d.C. le ultime legioni romane si
ritirarono, abbandonando per sempre la Britannia dopo quasi 400 anni di dominio, lasciando l’isola e i suoi abitanti alla
mercè dei popoli a nord del Vallo. i Romano-Britanni chiesero aiuto a Juti,
Angli e Sassoni per difendersi dagli attacchi di Scoti e Pitti, permettendo
così la penetrazione dei popoli germanici in Britannia e nel giro di pochi anni
il numero dei popoli germanici aumentò così tanto che alla fine si ribellarono
ai Romano-Britanni, spingendoli sempre più ad ovest e al nordd nelle
regioni meno fertili dell’isola, quali il Galles e la Scozia.
Nonostante
si fossero difesi bene, gli abitanti dell’isola non riuscirono ad impedire la
nascita dei Regni Anglosassoni e Juti, quali il Northumberland, l’Anglia
Orientale, Sussex, Essex, Kent, Wessex, Mercia. Verso la fine dell’VIII secolo
d.C. i Vichinghi attaccarono la Britannia, secondo quanto riferito dalla Cronaca
Anglosassone, il loro arrivo scardinò gli
equilibri che si stavano lentamente formando in quest’isola divisa in tanti
regni. Con i Normanni avvenne l’ultima invasione esterna dell’isola, avvenuta
nel 1066 ad opera di Guglielmo II il conquistatore, re dei Normanni e nuovo
sovrano dell’isola. Con la sconfitta e la morte di re Harold, l’ultimo
sovrano d’Inghilterra, segna una nuova era per questa terra, caratterizzata dai
cambiament messi ad opera da Guglielmo: verrà compilato, su ordinazione del
nuovo re, il Libro di Domesday, dove verrà annotato di tassare popolazioni e le
loro proprietà, si formerà la classe dirigente anglo-normanna. E anche la
lingua cambierà profondamente, infatti la lingua dei nuovi invasori era il
Francese, che nei vocaboli avrà una grande influenza assieme al Latino,
“de-germanizzando” di fatto la lingua Inglese per buona parte. Dopo le guerre
con gli Scozzesi, la Guerra dei cent’anni e la Guerra delle Rose, nel 1707
viene firmato l’Act of Union, che sancisce l’unione tra i regni di Scozia e
Inghilterra, formando così il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Nasceva
una nuova potenza mondiale, divenendo di fatto l’erede di Roma.
La
prima linea difensiva romana era la Stanegate, una strada militare che
collegava da Est ad Ovest i forti di Luguvalium e Corsopitum, fiancheggiata da
postazioni di controllo e di difesa, ma non fu sufficiente a fermare le
continue incursioni dei Pitti e dei Britanni liberi dal dominio di Roma lo
stesso l’imperatore Adriano la giudicò inadeguata e decise che la frontiera andava rinforzata in
modo tale che avesse gli stessi effetti di barriere naturali, come ad esempio
il fiume Reno, che sono assenti nell’isola, serviva una muraglia che tenesse
lontani i barbari e che difendesse la civiltà romana che si era insediata nella
Britannia. Costruito tra il 122 e il 125 d.C., percorreva 120 Km dall’Estuario
del Solway ad Ovest a Wallsend ed era il confine posto più a nord di tutto
l’Impero Romano, fatta eccezione del Vallo di Antonino situato nella Scozia
meridionale utilizzato solo per vent’anni (144-164 d.C.), oltre ad essere il
più pesantemente rafforzato e la sua costruzione consolidò la potenza e l’immagine
di Roma in Britannia. Ancor oggi è oggetto di dibattiti e discussioni, in
quanto la muraglia romana non deve essere vista solo come una postazione di
combattimento poichè è evidente che, secondo le scoperte archeologiche e i
documenti scritti giunti a noi, ebbe
anche il compito di regolare i traffici attraverso la frontiera. Con la
crisi dell’Impero la consistenza delle guarnigioni cominciò a diminuire, fino
ad essere completamente smobilitate già nel nel IV secolo d.C. abbandonando
per sempre la frontiera che da lì al 410 d.C. si sarebbe ritirata ancora di
più, in Gallia. Recentemente alcuni storici ed archeologi, basandosi su gli
scritti della leggenda del Ciclo Arturiano, hanno avanzato l’ipotesi che non
lontano da Newcastle sia ubicato il Monte Badon, lo storico campo di battaglia
che avrebbe visto vittoriosi i Romano-Britanni sugli invasori Angli e Sassoni,
anche se non è del tutto certo, in quanto si tratta solo di un’ipotesi remota
poichè la sua ubicazione è ancora incerta.
Dopo
il ritiro delle legioni Romane, il Vallo
continuò ad avere gli stessi di barriera, nonostante fosse caduto in
disuso e e
subì lo stesso destino del Colosseo, ossia venne spogliato del materiale di cui
era costituito per rendere possibile la costruzione di altri edifici e case
nelle vicinanze. Pons Aelius entrò
a far parte del regno anglosassone di Northumbria,
e venne ribattezzata col nome di Monkchester, mentre Carlisle divenne la
capitale del Regno di Cumbria. E se la prima diventò una zona periferica,
Carlisle continuò ad essere una città di frontiera verso i Caledoni e nei
secoli successivi con gli Scozzesi. È interessante che il Vallo di Adriano
continuò ad essere utilizzato come confine anche nei secoli successivi al
ritiro delle legioni, prova del fatto che quelle zone fossero “calde”, teatro
di continui scontri/incontri tra civiltà, popoli ed eserciti.
Da
sempre la lingua è una parte dell’identità di un popolo, della sua religione, di
un’etnia o di un gruppo di persone e ad essa sono legate gli aspetti socio-culturali e storici, grazie
ad essa le persone possono comunicare ed interagire tra loro ad un livello medio-alto
della società. Ogni gruppo linguistico ha i suoi dati etnici, si tratta di
individui che parla la stessa lingua madre, caratterizzati dalla propria
religione, nazionalità etnica, cittadinanza e così via. Aspetti che possono
essere studiati, analizzati, viene considerata la loro distribuzione nello
spazio, l’evoluzione o involuzione demografica. Ed è grazie alla toponomastica
dei luoghi e alla linguistica che è possibile studiare le culture
dei popoli. Scopriremo che in
Britannia ci sono pochissime tracce di nomi di origine celtica nella
toponomastica, presenti soprattutto nella zona occidentale e fanno riferimento
ad alcuni luoghi, mentre altri sono ibridi Latino-Celtico, perchè la cultura e
la lingua Anglosassone erano diventate dominanti nella parte su-est dell'isola
fin dall'inizio del VI secolo , cioè da quando Angli e Sassoni presero il
sopravvento sui Romano-Britanni. E mentre il Celtico è quasi scomparso, il
Latino ha avuto la fortuna di sopravvivere grazie anche alla Chiesa, poichè era
ed è la sua lingua ufficiale, e tramite la toponomastica, le cui tracce sono
ancor oggi evidenti in buona parte dei vocaboli. Ed è curioso che in una zona
periferica come il Vallo di Adriano, dove la diffusione del Latino era
estremamente bassa, il ricordo della presenza dei Romani e di tale lingua sia
molto evidente: da Arbeia (South Shields) a Maia (Bowness-on-Solway), passando
per le città di Newcastle Upon Tyne e Carlisle, la toponomastica fa spesso
riferimento alla presenza militare dei più grandi conquistatori
dell’Inghilterra dell’età antica. Una zona spesso teatro di scontri con i Pitti
e i Britanni liberi, ma anche tra Inglesi e Scozzesi dal medioevo a l’età
moderna; e non è un caso se Newcastle e Carlisle vengono ancor oggi
identificate come città di frontiera. Ed è proprio in queste due città, assieme
alla zona centrale del Vallo, che ho avuto modo di poter fare sopraluoghi: a
South Shields, in prossimità del forte di Arbeia,
sopravvive ancora la centuriazione, ossia il sistema stradale usato dai Romani
nelle città; a Wallsend il ricordo del Latino è testimoniato dalla presenza di
indicazioni stradali in due lingue, latino e inglese, anche il nome stesso
“conserva” una parola latina, basti pensare che wall deriva da vallum, Wallsend
significa “la fine del vallo”; Newcastle è quasi del tutto priva dei resti del
Castrum, ma nonostante ciò il nome conserva in parte il ricordo della
dominazione romana, non a caso nel medioevo la città era chiamata Novum Castellum, in riferimento alla
nuova fortificazione che era costruita sulla base del forte romano di Pons
Aelius; il nome di Benwell, quartiere ovest di Newcastle Upon Tyne, significa “il
posto situato all’interno del vallo romano”, qui sorgeva un forte costruito a
cavallo della linea del vallo, come se fosse attraversato dalla muraglia
romana; l’area centrale del Vallo è caratterizzata dalla presenza di molti
forti e dai resti di campi di marcia e torrette di avvistamento, è nota con il
nome di Great Chesters, il cui significato è “grandi accampamenti”, anche se in
epoca romana avevano nomi differenti (Onnum,
Cilurnum, Aesica); Corbridge conserva ancora il nome latino Coria e in passato era la più grande
città della Britannia settentrionale ed oggi è solo un villaggio; infine
Carlisle, in Inghilterra nota come “The Great
Border City”,
letteralmente “ la grande città di
confine”, la seconda per estensione del tessuto urbano dopo Newcastle Upon Tyne,
durante la dominazione romana era la seconda città di frontiera e la più
grande lungo tutto il Vallo di Adriano, nota col nome di Luguvalium in età antica, il cui significato era “Città di
Luguvalio”, un’antica divinità celtica, mentre il nome moderno significherebbe
“la fortezza di Luguvalio”. Purtroppo della parte finale del vallo, situata ad
ovest di Carlisle, e degli ultimi tre forti non è rimasto quasi nulla, quel
poco che sappiamo lo dobbiamo alle fonti scritte, la Notitia Dignitatum e la Cosmografia
Ravennate, oltre ai pochissimi resti dei forti presenti sul territorio.
Tutti
inomi dei forti dislocati nel Vallo di Adriano, lungo tutto il suo tracciato
oppure in posizioni diverse, sono noti da una serie di fonti letterarie: La Notitia Dignitatum, la Ravennatis Anonymi
Cosmographia e altre fonti meno conosciute, quali le Tavolette di
Vindolanda, la Coppa di Rudge e l’Itinerario Antonino. Scritti per
descrivere la vita delle legioni e delle sentinelle poste lungo il confine
fortificato, sono un ottimo esempio di documento geografico scritto, poichè
descrivono anche la posizione dei vari forti presenti lungo tutto il vallo,
oltre a risultare una sorta di “censimento” dei vari vicus e centri abitanti
limitrofi alla barriera romana.
La
lingua Inglese presenta nel lessico e nella grammatica molte influenze da parte
di altre lingue, nonostante si tratti di una lingua di ceppo germanico, la Gran
Bretagna è stata invasa a più riprese e ciò ha comportato diverse influenze dal
Latino a lingue Scandinave e, in seguito, da
Normanni e Francesi, oltre ad aver beneficiato di apporti da parte del Greco
e in minima parte dal Celtico. Basta pensare a parole che fanno riferimento ai
prodotti, come ad esempio copper
(cuoio rosso) che deriva da cuprum
che significa cuoio, agli alimenti come cheese
che deriva da caesus, street che deriva da strata (via), pillow (cuscino) da pulvinus,
wall (muro) da vallum (palizzata), l’unità di misura inch (pollice) da uncla
(dodicesima parte di un tutto) e così via. Ci sono stati numerosi casi di
rinvenimenti di pietre miliari lungo le antiche strade dell’Inghilterra, molti
dei quali sono distribuiti nei vari forti romani presenti lungo il Vallo di
Adriano. Secondo un’indagine effettuata nel 1973
dai linguisti Thomas Finkenstaedt e Dieter Wolff, si stimava che, su circa
80.000 parole del dizionario Shorter
Oxford Dictionary (3ᵃ ed.), oltre
il 56% è di origine Latina e Neolatina, il 55%secondo Joseph M. Williams. Come
possiamo vedere, l’Inglese è una lingua germanica molto vicina a quelle
neolatine, la pronuncia stessa di alcune parole è molto più dolce rispetto al Tedesco
o l’Olandese.
Il Geordie è
un dialetto parlato nella Contea Tyne & Wear e nella zona nord-est
dell’Inghilterra viene, soprattutto nelle aree di Gateshead e Newcastle stessa.
Pviene
considerato in buona parte la continuazione diretta e lo sviluppo della lingua Anglosassone
della Northumbria. Nei Regni Anglosassoni
del medioevo si parlava l’Anglosassone che aveva le sue varianti a seconda
della regione, ognuna di esse aveva delle variabili nella un fonologia,
morfologia, sintassi e nel lessico. In quella dell’Inghilterra del Nord e nei
confini scozzesi, in passato facenti parte del regno di Northumbria, ci stava
un dialetto noto come
"Northumbrian" Old English. Il Geordie ha beneficiato, nei
secoli successivi, di apporti da parte del Celtico Irlandese e della lingua Gaelica
Scozzese, grazie alla presenza di migranti Irlandesi e degli Scozzesi che
dominarono la città nel basso medioevo, durante le guerre con gli Inglesi; da
allora il Geordie è rimasto privo di nuove influenze esterne, nonostante si sia
registrata una forte immigrazione di gente proveniente da tutto il mondo, con
conseguenti “migrazioni” delle loro lingue madri, addirittura è rimasto
confinato entro la città di Newcastle. Si è ipotizzato che il termine “Geordie”
potrebbe derivare da “George”, un nome molto diffuso nel Northumberland e in
questi ultimi 30 anni con tale termine
si fa riferimento anche agli abitanti di Newcastle e di una parte della
Northumbria, un caso analogo e simile a quello della Basilicata, anzi lo si può
paragonare ad alcuni dialetti italiani, come ad esempio il Napoletano, visto la
difficoltà di capire e apprenderne il significato delle parole. Eppure c’è chi
lo considera non un dialetto ma una lingua diversa dall’inglese, un caso molto
simile al Sardo e al Friulano.
Da
segnalare anche il Latino Britannico, conosciuto come inglese Latino Volgare,
la lingua ufficiale della provincia romana della Britannia parlata nel periodo
della dominazione romana e post-romana. Essendo il Latino la lingua ufficiale della
provincia romana, era parlata soprattutto
nelle zone meridionali e orientali, quelle più romanizzate dell’isola; era la
lingua dell’élite di potere, della classe dirigente, degli abitanti delle
città, dell’esercito e della Chiesa dopo la diffusione del cristianesimo. Ma
non è mai riuscito a sostituire del tutto il Brittonico, parlato soprattutto
dalla classe contadina, che rappresentava la maggior parte della popolazione
della provincia, nonostante i numerosi tentativi di romanizzazione delle zone
occidentali e settentrionali dell’isola, solo le élite rurali erano
probabilmente bilingue. Quindi si può dire che il Latino Britannico era una
variante del Latino, un pò come lo è oggi lo Scots, l’Inglese parlato nella
Scozia meridionale. Con la fine del dominio romano, il Latino Brittonico è
stato sostituito dall’Old English nella maggior parte di quella che divenne l’Inghilterra
durante l'insediamento Anglosassone del V e VI secolo. Sappiamo che sopravvisse
nelle regioni celtiche occidentali della Britannia occidentale fino a circa
700, quando fu sostituito dal lingue Brittoniche locali, mentre la sua fine
come lingua parlata è incerta. Mentre in gran parte dell'Europa occidentale il Latino
Volgare parlato è sopravvissuto e si è sviluppato dando origine a quelle che
divennero le lingue romanze, in Gran Bretagna cessò di esistere come lingua
parlata dopo la fine della dominazione romana a causa degli Anglosassoni e
delle lingue Gaeliche, quali lo Scozzese e il Gallese.
Una lingua è
parte dell’identità di una popolazione o di un’etnia, è parte essenziale della
cultura, della religione, di una società e di uno stato. Grazie ad una lingua è
possibile la comunicazione tra due o più individui diversi, da sempre gli
esseri umani comunicano. Una lingua può subire influenze da altre lingue,
beneficiare di prestiti per il lessico, mutare nel corso dei secoli o restare
“pura”, per poi sparire gradualmente quando nessuno la studia più. Le lingue
non restano immobili nei loro luoghi d’origine, ma si sposta nello spazio e nel
tempo assieme agli esseri umani, i confini geografici nel corso dei secoli
hanno “contenuto”i popoli entro i loro spazi geografici, limiti che erano
difficili da superare come ad esempio una catena montuosa. Le lingue non
restano sempre nella stessa area geografica ma si spostano assieme ad un gruppo
di individui nello spazio, soprattutto negli ultimi anni che i trasporti si
sono velocizzati e hanno consentito di collegare varie zone della terra nel
minor tempo possibile. Eppure esistono dei limiti che possono impedire
l’espansione di una lingua: un’isola, per esempio, può preservare a lungo la
purezza di una lingua e dei suoi vocaboli, evitando il contatto e la
contaminazione con altre lingue ed altre culture; ma anche una catena montuosa,
in passato, poteva impedire l’espansione di una lingua stessa. Basti pensare,
ad esempio, al caso del confine linguistico tra Emilia-Romagna e la Toscana,
rappresentato dagli Appennini: dal Toscano di Massa e Carrara si passava subito
a l’Emiliano. Il confine linguistico è il limite estremo convenzionale del
territorio sul quale è diffusa una varietà linguistica e può trovarsi in
corrispondenza ad una realtà politico-amministrativa nel caso di una
delimitazione netta di tipo etnico-linguistico. Nella geografia
linguistica non esistono
limiti precisi fra dialetti ma solo confini di singoli fatti linguistici, se
possiamo tracciare linee di demarcazione di singoli fenomeni, nel caso di un
confine linguistico bisogna considerare dei fasci di isoglosse che si
intersecano oppure sono contigue, poichè i fenomeni fonetici e morfologici non
seguono mai le stesse linee di confine. Ogni isoglossa ha il suo tratto distintivo. Se sullo
stesso asse geografico insistono una o più isoglosse significative si può
individuare un confine netto, tale da determinare una classificazione rigorosa
delle varietà linguistiche da esse delimitate. R. Breton nel suo libro “Geografia
delle lingue” sostiene che tutte le lingue del mondo non sono uguali tra loro
sia per la diversa massa dei locutori sia per lo stadio di sviluppo raggiunto
da ciascuna di esse tramite l’espressione della cultura.
Secondo la
teoria di Breton esistono cinque livelli di sviluppo delle lingue, in
corrispondenza dei quali esistono cinque stadi di perfezionamento degli
strumenti di comunicazione e di dimensioni del suo uso: un primo livello è costituito da lingue prive di
scrittura, di tradizione orale, parlate tribali ritenute primitive e anche di
dialetti usati sia tra le mura domestiche che in pubblico, la loro sopravvivenza è minacciata dalle
lingue di cultura e da processi di contaminazione e corruzione, ma anche
per”disaffezione” da parte dei loro interlocutori che vengono attratti dalle
lingue e culture predominanti; al secondo livello troviamo le lingue locali o vernacole (dal latino vernaculus, che significa indigeno) la
cui sopravvivenza è garantita da uno sforzo di fissazione per iscritto, esse rientrano
nell’ordine delle lingue lette rizzate (o Schriftsprace); abbiamo un terzo
livello, caratterizzato dalla crescente diffusione di lingue veicolari (in
tedesco verkehrsprache, ossia lingua
commerciale), poi adottate da varie etnie, esse costituiscono un legame
interetnico e interregionale; al quarto livello ci sono le lingue nazionali, espressione
di un gruppo etnico ben consolidato nel territorio che ha compiuto il processo
di unificazione politica e nel corso degli anni si è dato una cultura ben
individuata e affermata in vari piani (letterario, scientifico, ecc.) ed
espressa nella propria lingua, il numero di parlanti va da poche centinaia di
migliaia di locutori fino alle centinaia di milioni; infine abbiamo il quinto
livello, costituito da lingue usate da molti stati come strumento di relazione
e interrelazione e legame culturale, al di là di ogni divergenza linguistica,
etnica e storica, proprio come accadde al Latino, lingua ufficiale dell’Impero
Romano e per oltre 18 secoli lingua franca dell’Europa Occidentale. Una lingua
si diffonde in aree geografiche assieme al suo popolo di appartenenza, per vari
processi e vari motivi: ad esempio il territorio originario non era più in
grado di sostenere la popolazione che si è vista costretta a migrare da
un’altra parte.
Le lingue col
passare del tempo cambiano, mutano, si arricchiscono di vocaboli presi in
prestito da altre lingue o possono “decadere”. L’estinzione linguistica avviene quando non ci sono più i locutori nativi di
una lingua oppure poco prima della scomparsa dell'ultimo locutore nativo: se
restano pochi locutori anziani la lingua può essere considerata morta, in
quanto non è più usata nella comunicazione. Si tratta di un processo lento e
graduale in cui le generazioni successive imparano di meno le sottigliezze
della lingua, finché di essa resta solo la testimonianza nei testi scritti,
come ad esempio le poesie oppure le canzoni. L’estinzione può partire dal basso
verso l’alto (dai nuclei familiari) o dall’alto verso il basso (da enti
governativi), può essere radiale oppure essere improvvisa a causa di genocidio
o malattie. Esistono diversi meccanismi che portano all'estinzione
linguistica, come ad esempio l’imposizione di un'altra lingua che costringe le
popolazioni locali sottomesse a parlare la lingua dei colonizzatori e di fatto
viene proibita la lingua da “distruggere”; un altro esempio è rappresentato dalla
competizione linguistica (si pensi a l’Inglese e al Francese per le
pubblicazioni scientifiche), ma anche lo sterminio del popolo che parla la
lingua o la distruzione di una cultura
tradizionale portano all’estinzione di una lingua. Come ci suggerisce R.
Breton, uno dei motivi che comportano la morte di una lingua può essere di tipo
extralinguistico, oltre all’involuzione, dialettizzazione e diglossia; un buon
esempio è la graduale scomparsa di un’etnia ad opera di un’altra e ciò comporta
la dispersione dei suoi locutori e le nuove generazioni abbandonano
gradualmente la loro lingua madre per passare, dopo un periodo di bilinguismo,
alla nuova lingua dominante.
Il Latino viene
spesso considerato una “lingua morta”, estinta, che nessuno parla o studia più. Avrà subito un
ridimensionamento negli ultimi duecento anni, ma è bene ricordare che
nonostante fosse stato sostituito dalle lingue barbare in una parte d’Europa, non è mai stato soppiantato del tutto, proprio nel
medioevo ha avuto una sua ripresa grazie alla Chiesa, essendo la sua lingua
ufficiale (ancor oggi parlata nel Vaticano), era la lingua d’elite e della
cultura. Ed è proprio grazie alla Chiesa che è stato possibile riportare il
Latino nella Britannia e poter superare confini che ai tempi dei romani non fu
possibile, come ad esempio il Vallo di Adriano stesso. Ancora oggi continua ad
essere studiato nelle scuole e nelle università, è diventato anche la lingua
ufficiale della scienza, è un valido pilastro per la scuola, ed è grazie ad
esso che hanno avuto origine le moderne lingue neolatin, l’alfabeto latino ha
gradualmente sostituito, nella grammatica, le rune delle lingue germaniche ed è
e infine, come ho già detto, ha avuto un’importante influenza sulla lingua
Inglese sia dal punto di vista dei vocaboli che per la toponomastica dei
luoghi.
Per
realizzare un atlante cartografico si usano vari sistemi, due di questi si
basano sulle isolinee e con il mosaico. Nel caso degli atlanti linguistici
utilizzeremo soprattutto le isoglosse, le linee che delimitano determinate zone che condividono dei
tratti linguistici comune, possono essere di tipo lessicale,fonetico,
morfologico o sintattico, vengono tracciate delle linee
curve che "delimitano" determinate
zone di territori che condividono dei tratti linguistici comune, che sia
lessicale o fonetico. Ma le lingue possono condividere o non
condividere una data isoglossa a seconda che abbiano in comune o meno quel certo
tratto o fenomeno linguistico, quindi le isoglosse possono segnare il confine
tra due aree geografiche che presentano una o più differenze linguistiche.
Al
giorno d’oggi del Vallo di Adriano resta solo una parte di esso, il tronco
occidentale è del tutto sparito, ad est la strada A69 ricalca l’antico
tracciato, mentre gran parte dei fortini è andata perduta, ma fortunatamente è
stato possibile identificare la posizione esatta dei forti grazie alla Notitia Dignitatum e alla Cosmografia Ravennatae, ma ancor di più
grazie alle fotografie aeree sul posto: mentre alcuni forti hanno conservato
parte della loro struttura, degli altri rimangono solo i solchi lasciati dalla
presenza delle mura e dei fossati che circondavano i forti. Altri siti
conservano in parte la rete stradale interna dei valli, come ad esempio il
villaggio di Bowness on Solway o Burgh by Sands. Ed è grazie ai ritrovamenti storici
e alla testimonianza delle varie fonti scritte che è stato possibile
ricostruire “virtualmente” l’antico tracciato del Vallo di Adriano e
“riposizionare” i fortini e le torrette demolite nel corso dei secoli anche se
in modo del tutto approssimativo. Negli ultimi anni, grazie ai GIS (Geographic
Information System) è possibile acquisire,
gestire, analizzare e visualizzare tutte le forme di informazione geografica di
riferimento, consente di rispondere a domande e risolvere i problemi, cercando
di dati in un modo che è compreso rapidamente e facilmente condiviso. Su
Google Earth, esistono dei tools creati da vari utenti che hanno ricreato il
vallo basandosi sulle informazioni in possesso da storici, linguisti,
archeologi. Se abbiamo un database riguardante
la parte centrale del Vallo, potremmo teoricamente interpolare tali dati per
dimostrare che il numero dei forti e dei campi di marcia presenti sul
territorio può essere dovuto al fatto che la presenza militare in quella zona
era giustificata per l’alto rischio di attacchi da parte dei Pitti. Ma è anche possibile tracciare una mappa dei forti
distribuiti lungo il tracciato in chiave della toponomastica: così facendo ci
accorgeremmo che quasi i toponimi di origine latina non vanno oltre il Vallo. È
anche possibile provare a ricostruire una mappatura della diffusione delle
lingue presenti in Inghilterra nel corso dei secoli, anche se si tratterebbe di
dati approssimativi, in quanto non abbiamo un quadro chiaro al 100% della
diffusione del latino in Britannia, sappiamo che era la lingua ufficiale nelle
città, mentre coesisteva con il brittonico nelle zone rurali.
Concludendo,
si può considerare il Vallo di Adriano un confine Geolinguistico? Si, perchè i
Romani non sono riusciti a dominare i territori oltre il vallo stesso, fatta
eccezione per la breve dominazione della Caledonia (20 anni), e poter così
diffondere la loro lingua. Nel corso dei secoli questo storico confine ha diviso più di una volta due lingue diverse tra
loro, come accadde tra il Brittonico e il Latino, il Cumbrico e il Gaelico
Scozzese, e soprattutto tra l’Inglese e lo Scozzese. Una prova evidente ce la
da la toponomoastica: tutti i luoghi al di sotto del Vallo sono in gran parte
di origine romana, poi col tempo cambiati per l’arrivo delle lingue germaniche,
quali l’Anglo, il Sassone e il Kentiano, mentre a nord del muro romano sono
ancora presenti tracce del Pittico e, soprattutto, del Gaelico Scozzese, ll
breve periodo della dominazione romana in Scozia non è stato sufficiente
affinchè il Latino si radicasse bene in quelle terre e desse origine a una
lingua neolatina, il contrario di quello che avvenne in Dacia (Romania). E
anche la toponomastica Brittonica rimase immutata fino all’arrivo degli
invasori germanici durante e dopo il ritiro dei romani dall’isola. Il Vallo di
Adriano, quindi, ha avuto gli stessi effetti di un confine linguistico
naturale, poi decaduti con le invasioni barbariche e con l’Act of Union del
1707.
C’è ancora molto da
scoprire, e in alcuni forti romani come quello di Arbeia si sta ancora scavando
e riportando alla luce i resti di questi avamposti romani e dei villaggi ad
essi adiacenti che aggiornano le nostre conoscenze storiche, geografiche e
linguistiche di questa terra, per certi versi
ancora limitate. In fondo siamo ancora esploratori, perchè se le conoscenze
geografiche del nostro pianeta sono quasi complete, lo stesso non si può dire
per la toponomastica e per la geografia delle lingue. Secondo gli storici e i
linguisti Inglesi c’è ancora tanto da scoprire. Essi paragonano ciò che è noto
ad uno scheletro, cioè l’ossatura del corpus linguistico del Latino in
Inghilterra.
Le
lingue col tempo mutano come le nuvole nel cielo, seguendo la storia e la
cultura dei popoli che le parlano; pertanto la risposta alla domanda se un
limite antropico può contenere una lingua, è che questo è possibile, ma
solo per un determinato periodo di tempo:
i confini possono resistere e dividere, ma quando vengono superati si crea un
mondo nuovo, dove vecchie e nuove conoscenze si fondono, trasformando ed arricchendo
i popoli.