lunedì 26 ottobre 2015

Siccità e crisi alimentare in Kenya.

La recente siccità che ha colpito il Kenya ha spinto milioni di persone a patire la fame, aggravando le condizioni di vita e costringendoli alla riduzione dei pasti giornaliero oppure a spostarsi verso la città sostenendo spese ingenti per poter acquistare cibi più economici ma di scarso valore nutritivo. La fascia più colpita è quella dei bambini al di sotto dei cinque anni, la più estesa di tutta la popolazione keniota (8,2% le femmine, 8,3% i maschi) ma anche quella più esposta agli effetti della fame e ad altre malattie: secondo le stime di Save The Children almeno due milioni sono malnutriti. Già in Kenya vivono oltre 41.609.700 di abitanti ma solo una piccola parte della popolazionepuò godere del benessere (appena il 2%), mentre oltre il 50% vive in condizioni di povertà più assoluta e soffre la fame, si stima che in un anno siano morti 473 bambini. Nonostante ciò la popolazione è destinata ad aumentare. 

In un paese dove il suolo è stato sfruttato e impoverito durante gli anni del colonialismo inglese, con  le coltivazioni industriali che sostituirono le vecchie colture di sussistenza, le attuali piantagioni di mais, sorgo, miglio e patate non riescono a soddisfare il fabbisogno interno; già I fiumi e i corsi d’acqua non hanno grosse portate, i due principali, il Tana e il Galana, hanno un regime che varia tutto l’anno, influenzato  dalla frequenza delle precipitazioni piovose. Presso il Distretto di Turkana, situato nella regione nord-ovest del paese,c’è una forte carenza di infrastrutture per l’approvvigionamento idrico e di fatto la popolazione non ha accesso all’acqua potabile e solo il 5% della terra arabile è irrigato ele acque del Lago Turkana sono salate e calde.

La recente siccità che ha colpito queste terre ha causato un drastico calo dei pascoli e di acqua per il bestiame, il raccolto di mais è sceso di almeno un terzo rispetto alla media degli anni precedenti, costringendo la maggior parte della popolazione locale ad abbandonare queste terre perché si sono inaridite e ormai non sono più adeguate per la produzione alimentare.

 Nel 2009 la FAO lanciò un allarme sulla crisi alimentare, sollecitando aiuti internazionali per poter sfamare gli oltre 3.5 milioni di kenioti in stato di emergenza alimentare, di questi 1,6 milioni hanno ricevuto cibo dal Programma Alimentare Mondiale (WFP), ma il numero di persone che necessitano di assistenza alimentare potrebbe aumentare.

Per far fronte all’emergenza, nel 2011 il governo del Kenya ha autorizzato l’importazione e la coltivazione di prodotti OGM, diventando così ilquarto Paese africano ad aprire le porte ai prodotti transgenici dopo il Sud Africa, l’Egitto e il Burkina Faso per poter risolvere la crisi alimentare che colpisce milioni di persone nel corno d’Africa. Tale scelta è stata criticata dalle organizzazioni ambientaliste, da alcuni parlamentari e soprattutto dai produttori agricoli locali perché un eventuale introduzione di sementi geneticamente modificati può contaminare i prodotti locali e non poter raggiungere la sicurezza alimentare auspicata e non potrebbero più conservare i propri semi per la stagione successiva, impedendo così ai produttori locali di scambiarli con gli altri produttori, una pratica tipica dell’agricoltura locale. Le piante OGM possono resistere ad alcuni pesticidi o essere immuni dai parassiti e possono migliorare le caratteristiche del suolo sfruttato rendendo le colture più forti, ma al momento non sono in grado di resistere a lunghi periodi di siccità e non potrebbero usufruire di un’adeguata copertura dei canali di irrigazione, che in Kenya non sono del tutto efficaci;inoltre comporterebbero dei rischi per la salute umana perché possono provocare delle reazioni allergiche gravi e non prevedibili e ci sarebbe una perdita di biodiversità delle specie vegetali. 

Di fatto gli OGM sarebbero un prodotto inutile. Per questo motivo, nel 2013 il Ministro della Salute Beth Mugo ha vietatol’importazione di prodotti OGM, specificato che il divieto rimarrà in vigore finché non sarà dimostrato che i prodotti geneticamente modificati non sono un pericolo per la salute pubblica.